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La filosofia politica di Hannah Arendt

1. Introduzione
2. Totalitarismo e Rivoluzione
3. La Politica
3.1 L'opera
3.1.1 La relazione mezzo-fine
3.1.2 Inizio e fine
3.1.3 La dicotomia soggetto-oggetto
3.1.4 Un esempio
3.1.5 Il problema della categoria di opera
3.1.6 Il trionfo della categoria di opera
3.1.7 L'opera e la politica
3.1.8 Riassunto
3.2 Il lavoro
3.3 L’azione
3.4 Excursus: Teatro
3.5 La natività
3.6 Il CHI 
3.7 Il potere e lo spazio di apparizione
3.8 Excursus: Teoria del contratto e femminismo
3.9 Imprevedibilità è narratività
4. La politica, la teoria di campo e la comunicazione
5. Riassunto
6. Bibliografia



3.1.2 Inizio e fine

Nell'opera tutto è mirato allo scopo finale, il prodotto. Come accenna l'aggettivo finale, l'opera si conclude con il raggiungimento di questo scopo (1):

Poiché un processo produttivo - a differenza di altri processi mai controllabili del tutto che attuiamo quando si comincia ad agire - ha un preciso inizio e una fine non meno visibile. Si conclude quando l'oggetto è finito.

L'inizio del processo produttivo, secondo la Arendt, è il momento in cui il produttore si figura il modello dell'oggetto da costruire. (2) La scoperta e la costruzione non appartengono quindi all'opera, poiché solo quando il modello è già pronto ce lo si può figurare. L'opera comincia perciò, quando per es. si legge un progetto e si fa una lista di attrezzi e materiali necessari. La definizione è certamente superficiale, ma non importa, poiché l'inizio dell'opera non è rilevante per la politica.

Molto più importante è invece che l'opera abbia una fine. Il fatto che il processo produttivo termini per definitionem quando l'oggetto è stato costruito è stato ripetuto abbondantemente. Ogni imprenditore edile lo sa: quando una casa è finita, deve pensare ad un'altra commissione, altrimenti la ditta resta disoccupata. Questa constatazione nell'ambito dell'opera viene traslata utopicamente - secondo la Arendt - da Marx nella politica. Poiché anche i politici sarebbero disoccupati se l'utopia sociale marxista si realizzasse (3):

Tute le teorie in cui l’azione fa la storia ossia funge da produttrice hanno per conseguenza quanto si evince dall’opera di Marx, un novum ordo societatis dell’azione fine a sé stessa, cosa che porta naturalmente ad abolire la politica.

E, (4)

Nella società senza classi non è solo lo Stato a estinguersi; in essa anche la Storia finisce; il suo prodotto finale è già nel mondo.

Si tratta del pensiero secondo cui la totalità della politica può essere un unico processo produttivo al fine di raggiungere un obiettivo. La finalità vale solo per singoli processi produttivi, per la sua totalità non vale già più, tanto meno per la politica. Quando ci si impone questa illusione, tuttavia, non è difficile che si finisca per santificare ogni mezzo a causa del fine. Quando si può mettere fine al caos profano, quindi anche la guerra, della politica, si può prendere in considerazione anche la violenza e la dittatura. Ma tale fine deforma nel peggiore dei modi la politica. Non solo si ascrive alla politica un fine extrapolitico, ma questo deve essere assoluto e capace di ricreare la politica stessa. Il tentativo di abolire la vera politica nell’uomo può solo portare all’annientamento dell’aspetto umano della politica. Forse dovremmo riconoscerci in questa prospettiva e riconoscere quindi, che il disordine umano e l’assenza di fini (e fine) sono propri della politica.

Questa assenza di fini così rilevante vale in genere per la politica, ma non per il singolo processo politico, che deve sfociare in una decisione comune. Perché tale decisione non può mai essere fine a sé stessa e dovrà sempre dare origine a nuovi processi politici, è una questione che tratterò confrontandola con la natività [Gebürtigkeit]

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Note:
  1. Fragwürdige Traditionsbestände, pag. 104
  2. Vita activa, pag. 83
  3. Fragwürdige Traditionsbestände, pag. 116
  4. Ibidem, pag. 105


I rinvii sono riferiti alle edizioni tedesche.


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aggiornato: 29.06.2006