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La filosofia politica di Hannah Arendt

1. Introduzione
2. Totalitarismo e Rivoluzione
3. La Politica
4. La politica, la teoria di campo e la comunicazione
5. Riassunto
6. Bibliografia


5. Riassunto

Hannah Arendt ha compiuto, come filosofa politica, un percorso assolutamente originale. Nelle sue opere unisce storia politica, storia della mente e considerazioni sistematico-ilosofiche. Ha apportato contributi decisivi all’analisi del Terzo Reich e del totalitarismo. Evitare tutto ciò che potesse contribuire allo snaturamento della politica, è uno dei leitmotiv del suo pensiero.

Il secondo fenomeno storico indagato è quello della rivoluzione. La rivoluzione presenta per lei due volti: da una parte la Arendt riconosce nello sconvolgimento rivoluzionario una fonte essenziale del pensiero processuale, quella ideologia avversa alla politica per cui la storia non nascerebbe dalle azioni degli uomini ma si svolge secondo una Necessità. Dall’altra parte l’autrice scorge nei consigli, che si formano spontaneamente nelle rivoluzioni, organi autogestiti che incarnano l’essenza della politica.

L’interesse principale di Hannah Arendt è per questo fenomeno, la politica, il suo rigoglio, minaccia o distruzione anche nei suoi risvolti storici, che costituiscono il punto nevralgico della sua indagine.

Il concetto arendtiano di politica può essere definito nel modo seguente, a scampo di contraddizioni:

Un processo politico è caratterizzato da:

  1. una quantità di uomini,
  2. che vogliono qualcosa di individuale,
  3. si riuniscono in un luogo,
  4. per parlare e
  5. giungere ad un accordo comune.

La politica è l’insieme di tutti i processi politici.

La libera associazione di uomini nel processo politico è minacciato da un concetto di attività che si contrappone all’azione politica: l’opera. Mentre la politica consiste nell’associazione di più soggetti, l’opera è caratterizzata dalla contrapposizione di soggetto e oggetto. Mentre l’opera si esaurisce nel prodotto, la politica non ha ma fine, poiché gli uomini vanno e vengono in continuazione. Mentre l’opera è determinata dagli utensili come mezzi e prodotti come fini, nella politica, l’unico mezzo è il dialogo, e l’unico fine è l’accordo.

La traslazione del concetto di opera nella politica si ha nel peggiore dei casi, quando un singolo considera tutti gli altri come strumenti, persegue il suo obiettivo con mezzi violenti e determina quindi la fine della politica. Malgrado queste conseguenze palesemente inaccettabili, l’opera riveste un ruolo importante nel pensiero politico. Ciò si spiega se si pensa che pluralità, infinitudine e imprevedibilità, appaiono meno accettabili del modello improntato sull’opera.

L’attività conveniente alla politica non è però l’opera, ma l’azione. L’azione politica consiste nella realizzazione di qualcosa da parte di un uomo nella sfera politica, attraverso il dialogo. Dialogo che si rinnova sempre all’interno di un gruppo per il discorso della natività. Il principio della natività si affianca all’inizio, che rinnova ogni azione.

Attraverso l’azione dialettico nello spazio politico, gli uomini si rivelano per quello che sono. Altrimenti la politica non avrebbe senso. Solo se mi metto in gioco per ciò che voglio nel mio intimo, posso impegnarmi politicamente. Nella politica entra quindi in gioco chi si è.

Poiché lo spazio permette questa apparizione, esso è chiamato in Hannah Arendt, spazio di apparizione In questo spazio d comparsa si verifica ciò che la Arendt chiama potere: l’accordo di molte volontà. Il potere in senso arendtiano viene prodotto dalle elezioni e quindi dalle votazioni. Il potere effettivo si ha solo al momento del voto, quando si dice che l’eletto ha il potere, così è da intendersi solo in senso metaforico. Sarebbe corretto dire che l’eletto è investito di potere dai suoi elettori per parlare a loro nome.

Prima che il potere entri in gioco con la votazione, lo spazio di apparizione politico è riempito da un complesso evento comunicativo: in una discussione o dibattito i partecipanti si fanno opinioni proprie. A causa della pluralità e individualità degli uomini, il risultato non può essere previsto, è imprevedibile, non è neanche sicuro che si arrivi a un risultato.

In ogni caso però, un processo politico porta a una storia, la politica è narrativa, genera informazione. In questa produzione di informazione vedo un aspetto essenziale e degno di essere indagato. Sono dell’opinione che si possa prendere alla lettera la categoria arendtiana di spazio di apparizione e con questo intendo concreti spazi di riunione. Per descrivere i processi politici concreti in questi spazi, propongo una teoria di campo della comunicazione, in cui le categorie della teoria di campo e della comunicazione sono connessi.

Spero di aver dimostrato che dalla filosofia politica di Hannah Arendt si possono derivare modelli aperti all’indagine empirica.

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aggiornato: 28.07.2006