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La filosofia politica di Hannah Arendt

1. Introduzione
2. Totalitarismo e Rivoluzione
3. La Politica
4. La politica, la teoria di campo e la comunicazione

5. Riassunto
6. Bibliografia

1. Introduzione

Ma un politico, che -tico è?
Cosa vuole dal mondo e da dove viene?
Georg Kreisler(*)

Lo scopo che questo saggio si propone è di spiegare il rapporto di Hannah Arendt con la politica, e derivarne un modello aperto all'indagine empirica.

Definiamo il concetto di politica: che la definizione possa cambiare nel corso di un'indagine è ovvio. Idealmente la si potrebbe definire così: Un totale di uomini si riunisce, discute, si consulta e si accorda su un punto comune. Questo è un processo politico. Chiameremo politica l’insieme dei processi politici. La definizione è sufficiente, vi ritornerò tra un attimo.

Hannah Arendt nacque nel 1906 a Hannover e morì nel 1975 negli USA(1). Ebrea, fu allieva di Heidegger con cui studiò filosofia ontologica. L'influsso del maestro è avvertibile nella sua opera, come afferma Delbert Barley nella sua Introduzione a Hannah Arendt.(2) All'inizio del Terzo Reich Hannah Arendt militò nella resistenza. Temporaneamente imprigionata, la Arendt capì che i tempi erano maturi per emigrare. In occasione della sua emigrazione imparò a conoscere la condizione di apolide di cui scrive largamente nelle Origini del Totalitarismo(3). Rimane per qualche tempo a Parigi prima di trasferirsi definitivamente negli States. La sua esperienza con le autorità francesi non deve essere stata delle più felici, poiché vi si riferirà come tortuose e incredibilmente incapaci.(4) Gli States, invece, sono la terra che la Arendt elegge a seconda patria. Dai primi tempi in America nasceranno importanti sezioni della sua filosofia politica. Un altro fattore di non trascurabile importanza è la profonda amicizia con Karl Jaspers.

La Arendt scrisse prevalentemente in inglese, ma essendo di madrelingua tedesca, le edizioni tedesche delle sue opere non sono vere traduzioni, ma manoscritti originali , in parte, su cui le edizioni inglesi si basano. Inoltre, la Arendt adattò alcuni passaggi appositamente per il pubblico anglosassone e per quello tedesco(5). Se avessi considerato tutti i dettagli, l'intero lavoro sarebbe saltato. Ragion per cui mi sono limitato a considerare le edizioni tedesche.

Segue una breve presentazione delle opere più importanti.

Nel 1951 viene pubblicato il suo capolavoro, Le Origini del Totalitarismo, uscito in Inghilterra con il titolo di The Burden of Our Time [il fardello del nostro tempo], un'ampia indagine storico- politica su cui la Arendt lavorò per 10 anni.(6) L'autrice tenta di comprendere ed esaminare coscientemente ciò che i più respingono orripilati: le atrocità del nazionalsocialismo e dello stalinismo. I perché di questo libro si possono ritrovare senza dubbio nella sua vicenda e quella del popolo ebreo, ma la Arendt afferma - e io concordo- che il totalitarismo, che rappresenta per lei una forma di Stato totalmente nuova, è uno degli eventi più importanti della Storia contemporanea.


Nel 1957 pubblica Fragwürdige Traditionsbestände im politischen Denken der Gegenwart, un testo relativamente breve in cui sono presenti i semi delle opere più importanti.

Nel 1958 segue La condizione umana, tradotto in tedesco con Vita activa(7), e il breve saggio La rivoluzione ungherese e l'imperialismo totalitario. Nella Vita activa l’autrice analizza esaurientemente l'azione dell'uomo, ripartendolo in: Lavoro, Opera e Azione.

La banalità del male, sottotitolo Eichmann a Grusalemme, viene pubblicato nel 1963. Questo saggio nasce in seguito al processo al gerarca nazista Adolf Eichmann, catturato a Buenos Aires nel 1961 e tradotto a Gerusalemme, a cui la Arendt era presente in qualità di inviata del New Yorker. Il libro scatenò violente polemiche.

Nello stesso anno venne pubblicata la sua seconda indagine a carattere storico-politico, sulla rivoluzione. I riferimenti empirico-storici ivi contenuti fanno chiara luce sulla filosofia politica dell'autrice. Qui si trovano gli esempi pratici mancanti in Vita activa(8). La Arendt manifesta qui la sua simpatia per i movimenti conciliari, che appartengono essenzialmente ad ogni rivoluzione. Stabilire quanto sia attendibile e precisa la sua analisi storica non è il compito di questo scritto. A mio parere è degno di nota il fatto che la Arendt non stabilisca mai un collegamento esplicito di questa con le sue opere filosofiche. Sta al lettore definirne il rapporto. Nel 1970 esce Sulla violenza, apparso nel 1975 in Germania con il titolo di Macht und Gewalt. Insieme a Vita activa è una monografia essenziale alla comprensione della filosofia politica arendtiana. In seguito alla guerra nel Vietnam, ai moti studenteschi degli anni '60 e agli episodi di violenza razzista negli USA, il saggio esplora il peculiare rapporto tra il potere, inteso come fenomeno genuinamente politico, e la forza, che sebbene rientri nei ranghi della politica, non dovrebbe mai mettere a repentaglio la politica stessa.(9) Dopo Sulla violenza la Arendt, avendo sondato abbondantemente gli abissi della politica, decise di occuparsi di quella filosofia che aveva sempre avvertito come opposta alla politica. Come disse nel 1973 a Hans Jonas: Ho chiuso con la politica: da adesso mi occuperò di argomenti trans-politici, e Jonas: quindi, di filosofia(10). L'opera che aveva in mente, Vita della mente, era composta da tre volumi, di cui solo due completi: Il pensieroLa volontà. La Arendt morì improvvisamente lasciando il titolo del terzo volume ancora nella macchina da scrivere: Il giudizio. Tutto ciò è naturalmente affascinante, e, come il Requiem di Mozart venne completato da un suo allievo, così i Frammenti sul giudizio vennero pubblicati e interpretati da un allievo con il titolo da lei pensato(11). Tuttavia questo saggio non si occupa delle ultime opere.

La letteratura critica si è rivelata ,ai miei fini, piuttosto infruttuosa. Laddove mi fosse servita l'ho segnalato.

L'assoluta repressione dei campi di concentramento e la libertà di cui godono gli uomini giuridicamente uguali sono gli estremi tra cui si muove il pensiero politico arendtiano. A questi estremi si riferisce nelle Origini(12):

...Quindi l'opinione condizionata dalla paura dei campi di concentramento, potrebbero servire, in un regime totalitario, cosa che è nella sua natura, a svalutare tutte le vecchie differenziazioni politiche, destra e sinistra, e introdurre accanto, o addirittura al di sopra di esse, una nuova unità di misura per giudicare gli eventi nel nostro tempo: ossia, se servono a un regime totalitario o meno

E nella sua cautamente ottimistica affermazione in Sulla violenza(13):

Il sistema conciliare sembra connaturato all'azione. Procedendo in quella direzione si dovrebbe arrivare a qualcosa...

I passi successivi dell'opera saranno caratterizzati da queste posizioni: ecco che si passa all'altro estremo, la distruzione di tutte le possibilità politiche da parte del regime totalitario. Seguito naturale di ciò sembra essere la situazione rivoluzionaria, in cui tutte le porte si spalancano e si presentano infinite possibilità di azione politica. Naturalmente vengono trattati anche gli aspetti negativi della rivoluzione. A questa si collega la terza parte, che tratta della vera filosofia politica arendtiana, che si muove in questi ambiti. I principali riferimenti sono Sulla violenza e Vita activa. Nella quarta sezione ho tentato di sviluppare i tratti di una teoria di campo della politica dai concetti arendtiani di violenza e il corrispettivo dominio. Con ciò ho voluto dimostrare che le affermazioni astratto-filosofiche della Arendt possono essere traslate anche in un ambito concreto, e che se ne può trarre spunto per una indagine empirica.

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Nota:

I rinvii sono riferiti alle edizioni tedesche.

(*) gioco di parole  intraducibile da una poesia satirica di Kreisler:
[...]
un mus-ico è chi scrive musica
un fanat-ico è chi eccede
E un poli-tico?
[...]

1) Molti libri sono stati pubblicati sulla vita della Arendt. Il più esauriente è sicuramente la biografia di Elisabeth Young Brühl. E' talmente scrupoloso che sfiora il culto della personalità. Ho consultato anche l'essenziale, maneggevole opera di Derwent May. Entrambi i libri hanno per titolo un semplice Hannah Arendt.

2) Delbert Barley, Hannah Arendt- Introduzione all'opera, es. pgg. 49, 71
3) Origini, pag. 43 sgg.
4) Origini, pag. 393
5) cfr. ad es. Origini pag. 13
6) Origini, pag. 21

7) Alvin Diemer è di tutt'altro avviso: l'intero tema si collega in realtà con il titolo dell'edizione inglese: La condizione umana, uscita nel 1958, concordando col testo tedesco, il titolo inglese sembra più preciso. Diemer, Der Mensch, sein Tun und die menschliche Grundsituation, in: Zeitschrift für Philosophische Forschung, vol. 16 (1962), pag.127-140, pag. 128.

8) Anche Wolfgang Heuer pensa che la Arendt concretizzi le sue tesi astratte in Vita activa, cfr. Heuer, Hannah Arendt, Reinbek 1987, pag. 105.

9) cfr. ad es. sulla rivoluzione, pag. 20: Il potere non può oltrepassare i confini della politica. Qualunque cosa accada, è a danno, o vantaggio, della politica.

10) Hans Jonas, Acting, knowing, thinking, in. Social research, vol. 44 (1977) pgg. 25-43, 27.

11) Arendt, Il Giudizio- Testi sulla filosofia politica kantiana, pubblicato nel 1985 con un saggio di Ronald Beiner.

12) Origini, pag. 681.

13) Sulla violenza, pag. 132; La citazione si trova nell'intervista aggiunta dall'editore al saggio.


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aggiornato: 29.06.2006