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La filosofia politica di Hannah Arendt

1. L'introduzione
2. Totalitarismo e Rivoluzione
3. La Politica
3.1 Opera
3.2 Il lavoro
3.3 L’agire
3.4 Excursus: Teatro
3.5 La nascita
3.6 Il CHI 
3.7 Il potere e lo spazio di apparizione
3.8 Excursus: Teoria del contratto e femminismo
3.9 Imprevedibilità è narratività




3.4 Excursus: Teatro

Ma un politico, che -tico è

Il concetto arendtiano di azione introduce un’accezione di significato che la parola tedesca handeln, agire, non ha, che invece il latino agere, l’inglese to act e il greco δραω(1) hanno: recitare sulla scena, fare del teatro, rappresentare qualcosa sulla scena,interpretare un ruolo. Perciò scrive Hannah Arendt(2):

Questo è il teatro, di fatto l’arte politica par excellence; solo in esso, nel corso così vivo della rappresentazione la sfera politica della vita umana può essere trasfigurata a livelli ulteriori, così da fondersi con l’arte. La recitazione è insomma la sola forma d’arte in cui l’oggetto viene trasportato nel mondo delle relazioni.

L’agire politico si regge sulla lingua e si svolge direttamente tra uomini. Lo stesso accade nel teatro. E viceversa, considerati gli elementi del teatro.

Nel teatro si viene per rendersi conto, lasciarsi trascinare dalle impressioni, ascoltare testi, vedere costumi e scenografie. Gli attori invece si mostrano, interpretano un ruolo fine agli applausi (e per guadagnare). Il teatro può essere dunque inteso come una sintesi di opera e azione, o anche solo azione. Cito Brecht a proposito dell’accezione produttiva del teatro. L’interpretazione che segue è assolutamente personale (3):

Io sono uno scrittore di pièces. Io mostro ciò che io ho visto (…)

Ecco cosa mostro io, io scrittore di pièces.

I 5 ‘io’ mostrano che l’autore dei testi cha una considerazione alta del suo contributo alla rappresentazione. Non è il caso degli altri partecipanti, ad es. degli attori. Piuttosto pare che la scrittura sia l’essenziale per la rappresentazione, il più è stato fatto. Il resto è la realizzazione di un progetto secondo lo schema operativo: l’autore consegna il progetto, il regista produce, gli attori, la loro voce e il loro corpo sono la materia prima e la rappresentazione il prodotto finale. Anche così il teatro può trattare soggetti politici, ma la regola vale anche qui: in quanto prodotto è inadatto alla politica. Nella prospettiva arendtiana dell’azione e del CHI la cosa si presenta in questo modo: l’affermazione brechtiana tralascia le persone agenti nel teatro la cui importanza è di essere, appunto, persone. Credo che ci sia una confusione di base tra forma e contenuto. Il teatro deve trasmettere pensieri agenti, ma non è forse chi opera nel teatro che si fa conoscere in forma di attore? Se l’attore non fosse altro che un intermediario che, in virtù del suo compito, trasmette messaggi al pubblico, non sarebbe molto di più di un telefono di lusso che migliora il suono delle parole. Intermediario equivale a mezzo, e se l’attore fosse un mezzo, sarebbe privato della sua umanità. L’autore e il regista si renderebbero colpevoli del misfatto se utilizzassero l’attore per realizzare i propri progetti. Fortunatamente questo non accade mai, poiché non succede se si lavora con altri uomini. La relazione è corretta quando l’attore usa il testo per presentarsi come uomo e il regista assume il ruolo di intermediario. Così il teatro assume i tratti del dramma personale dell’attore a cui il pubblico prende inevitabilmente parte senza dover ricercare un secondo fine. Secondo la Arendt (4)

Ciò che risalta in una rappresentazione non è tanto il corso dell’azione, che si può rendere anche col racconto, quanto l’unicità degli agenti che l’attore rappresenta nel modo più personale.

L’analogia con il teatro fa sorgere un altro problema, quello del mandato. L’attore è legato al testo come un eletto è obbligato verso i suoi elettori. Nella democrazia diretta, la Arendt pensa al modello attico, ciascuno contribuisce al processo politico unicamente con la propria volontà. In un sistema rappresentativo l’eletto deve recitare un testo preparato, parlare per gli altri proprio come l’attore recita testi scritti da altri. Ma nel caso del politico le cose si complicano: il testo del politico non è unilaterale, prefissato, non problematico, e soprattutto, non è l’opera di una persona ma di molte, che il ministro ha il dovere di rappresentare davanti ad un’altra moltitudine.(5) Il problema non è di immediata risoluzione, sta alla prassi politica affrontarlo.


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Note:
  1. Vita activa, pag. 179.
  2. Ibidem, pag. 180.
  3. Bertolt Brecht, Lied des Stückeschreibers, in: Schriften zum Teather, vol 5, pag. 281, Frankfurt/Main 1963
  4. Vita activa, pag. 179
  5. Cfr. Sulla rivoluzione, pag. 304

I rimandi sono riferiti alle edizioni tedesche.


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aggiornato: 29.06.2006