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La filosofia politica di Hannah Arendt

1. Introduzione
2. Totalitarismo e Rivoluzione
3. La Politica
3.1 L'opera
3.2 Il lavoro
3.3 L’azione
3.3.1 L’azione come causalità
3.3.2 L’azione politica
3.4 Excursus: Teatro
3.5 La natività
3.6 Il CHI 
3.7 Il potere e lo spazio di apparizione
3.8 Excursus: Teoria del contratto e femminismo
3.9 Imprevedibilità è narratività
4. La politica, la teoria di campo e la comunicazione
5. Riassunto
6. Bibliografia



3.3 L’azione

Il concetto di azione ha in Hannah Arendt due accezioni: una generale e una particolare (cfr. Vita activa, pag. 166). Nella prima, l’azione è una sorta di causalità in cui l’uomo è causa di qualcosa; nella seconda l’azione quell’attività umana che corrisponde alla politica e si svolge tra uomini.

3.3.1 L’azione come causalità

In senso ampio, l’azione è quando si causa qualcosa da sé. L’attività assume all’incirca i tratti dell’azione, posto che abbia la sua causa in chi agisce e non altrove. Un uomo agisce, ossia causa.

Hannah Arendt definisce, kantianamente, l’azione abilità(…), una successione di cose o condizioni che comincia da sé (1) o in modo simile: una successione nel tempo cominciata da sé(2). Nella sezione Il volere della Vita della mente afferma, a pag. 200, che un’azione si può definire libera solo quando non è causata o influenzata da un processo. In Aristotele si trova una corrispondenza nella definizione di azione volontaria (3):

Poiché anche il principio che muove le parti del corpo in simili azioni ha sede nell’agente stesso. Ma ammettendo ciò, sta a la lui dirigere l’azione o meno. Per cui vi è libertà (…).

Il Penta chiama questa proprietà dell’azione ‘incondizionalità’, ossia l’azione dell’uomo non è condizionato da nulla se non da sé stesso, da qui la libertà; E solo allora l’attività assume i caratteri dell’azione, se incondizionata (4):

L’azione in generale, non nella sua accezione politica, è quindi uno status libero, ogni comportamento usuale la cui causa risiede solo in quella persona In altre parole, quando l’agente è la causa. L’azione è libero per definitionem. Non si può e non si deve ricercare la causa dell’azione fuori dall’agente, chi agisce liberamente è la causa delle sue azioni, non c’è concatenazione di cause a cui risalire. L’individuo è dunque una causa trascendente per ciò che ha subito l’effetto delle sue azioni. Le cause trascendenti si contrappongono alle cause transitive, che contribuiscono all’effetto in maniera non autonoma e il cui unico fine è restare invariate una volta terminato l’effetto. Una causa transitiva è ad es. la benzina che brucia in un motore, che consegna la sua essenza ed energia interna al movimento del veicolo. Il pilota, che decide spontaneamente dove dirigere l’auto, è una causa trascendente del movimento della stessa: non si consuma nell’azione spontanea ma può azione ancora, invariabilmente, mentre la benzina deve essere rimessa nel motore. (5)

Naturalmente vi sono anche comportamenti non liberi, le cui cause sono aliene all’agente. E così vi sono vie di mezzo tra l’azione libero e quello condizionato. E così il moto dell’automobile è condizionato, oltre che dall’energia generata dall’effetto della combustione della benzina sul resto del motore, mentre chi guida agisce spontaneamente, dal codice della strada a cui il pilota deve attenersi.

Che possa essere difficile constatare, nel particolare o in generale se un comportamento simile possa essere definito azione o no, è indubbio. Ci si limita qui a postulare, con la Arendt, l’esistenza di questo tipo di azione e l’importanza che ha nella vita umana.

L’accezione generale dell’azione è importante quanto quella politica, secondo Hannah Arendt, poiché conclude il suo rigido iter con le tre attività di base, i tre livelli di realtà, nient’altro. Ci sono solo politica, mondo e natura, azione, opera e lavoro. Il lavoro appartiene alla sfera della natura e si sottomette alla sua necessità, non è perciò libero e non può essere azione. L’opera è determinata dal suo fine, dal prodotto, e non è, a maggior ragione, libera. Posso decidere se indossare un vestito, ma una volta che la decisione è presa le mie azioni successive non sono più libere, ma vòlte al fine ‘vestito’. La libertà non è quindi nella natura, determinata dalla necessità e dal lavoro, né nel mondo, in cui l’opera la fa da padrona. Il suo spazio, se esiste, è senza dubbio la politica.


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Note:
  1. KrV B476; ne La vita della mente, sez. il volere, pag. 107
  2. KrV B478; Ibidem, pag. 150
  3. Aristotele, Etica Nicomachea, 3° libro, 1110a16, cit. nella traduzione di Eugen Rolfes, rist. di Günther Bien, Hamburg 1972
  4. Penta, Macht und Kommunikation, FU Berlin 1985, pag. 33
  5. Crf. Qui Béla von Brandenstein, Kausalität in: Handbuch philosophischer Grundbegriffe, vol. 3, München 1973, pubbl. da Krings/Baumgarther/Wild, pag. 779-791

I rinvii sono riferiti alle edizioni tedesche.


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aggiornato: 29.06.2006