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La filosofia politica di Hannah Arendt

1. Introduzione
2. Totalitarismo e Rivoluzione
3. La Politica
4. La politica, la teoria di campo e la comunicazione
4.1 La teoria di campo
4.2 Teoria di informazione e di comunicazione
4.3 Una teoria di campo della comunicazione
4.4 Applicazione all la politica
4.4.1 Originalità e conferma nella politica
4.4.2 La politica nel campo di comunicazione
5. Riassunto
6. Bibliografia


4.4.2 La politica nel campo di comunicazione

Quando Hannah Arendt scrive di come il totalitarismo annulli lo spazio tra gli uomini (cfr. Origini, pag. 714), lo spazio in questione non è certo quello fisico, misurabile. Questo tipo di spazio era, nella Germania fascista, per quello che ne si sa, l'imperituro Reich millenario. Del resto la politica non può toccare lo spazio fisico. Perciò propongo di considerare questo spazio, caratterizzato in Hannah Arendt dal fatto che si agisce parlando all'interno di esso, come un campo di comunicazione. La politica può di fatto influenzare lo spazio quale campo di comunicazione, e il totalitarismo lo può distruggere.

Un altro motivo per parlare di teoria di campo della comunicazione politica è dato dalla Arendt (Vita activa, pag. 173):

Sembra che l’ infra-spazio tra tutte le cooperazioni sia consumato e ipertrofizzato da un inter-esse totalmente diverso, il tessuto originato dalle azioni e dalle stesse parole, dal vivo agire e parlare con cui si interagisce e si parla quotidianamente

Questo carattere di inter-esse che usura lo spazio e si basa sul dialogo, lo considero come un campo di comunicazione. Un ulteriore punto di raccordo è il potenziale.

Il potenziale è sia oggetto di studio nelle teorie di campo che in Hannah Arendt (cfr. Penta pag. 48).

Una riunione di molti nello spazio di apparizione politico ha un potenziale che viene attivato quando si prende una decisione. Quando le volontà dei singoli, concepiti come vettori, definiscono il campo di forza, il risultato del dialogo coordinato può essere la misura di quanto il potere potenziale possa essere attivato. Se si considera quindi il numero dei presenti come potenziale e un candidato all'accordo come corpo immerso nel campo, la grandezza nota del potere come effetto di campo uguale alla percentuale a favore del candidato. Le elezioni politiche vengono decise generalmente in questo modo. Chi riunisce su di sé il maggior potenziale elettorale otiene l'incarico. Per cui la posizione nelle trattative di un eletto è tanto migliore quanto maggiore è il potenziale che egli è riuscito a riunire alle elezioni. Si può notare qui una analogia con il modello del magnete elementare . Un pezzo di ferro magnetizzato ha un campo tanto più forte quanto più materiale magnetico si è disposto nella stessa direzione. In questo campo di comunicazione politico la continuità di emissione piuttosto che la produzione di informazione è tanto meno decisiva. Consideriamo i desideri e i bisogni di tutti gli uomini di una società come quantità di base da cui nasce la politica. Queste quantità di base è subito limitata. Innanzitutto ci sono i desideri e i bisogni che possono essere soddisfatti individualmente: questi sono impolitici. Poi vengono i desideri impolitici che non vengono espressi. Solo ciò che viene palesato nello spazio di apparizione è politico. Ciò limita anche la cerchia di individui che possono partecipare efficientemente a un processo politico: ci sono persone che possono articolare i propri desideri. Ne deriva naturalmente l'obbligo per la comunità politica di tenere d'occhio coloro che non possono articolarli. Un desiderio è politico solo quando riguarda la società, la polis. In una rappresentazione quale campo di comunicazione si consideri ciascuno come un punto sulla cartina del proprio strato. A ognuno di questi punti vengono ascritti i desideri trascendenti dell'individuo. Queste informazioni sono trascendenti poiché non sono identificabili subito come contenitori di coscienza. L'informazione è identificabile, visibile, e quindi rilevante per la politica solo attraverso l'apertura del campo di comunicazione, quando viene palesata e si riversa nello stesso. Solo i desideri - ad altri invisibili - che escono dalla coscienza per palesarsi possono diventare politicamente efficienti. In democrazia l'espressione di desideri è ritualizzata e formalizzata in occasioni stabilite, soprattutto nelle elezioni. Consideriamo ora una elezione come evento informativo nel campo di comunicazione. Ogni cittadino sceglie tra n partiti e n candidati. La quantità di informazione contenuta in un voto corrisponde dunque a 2 log2 n bit. Questo moltiplicato per il numero degli elettori, dà l'informazione primaria, la quale viene incrementata. Così se ad es. 8 partiti concorrono alle elezioni e a votare sono 50 milioni di cittadini, la quantità di informazione è pari a 300 milioni di bit, che è circa la quantità massima permessa su un piccolo disco rigido. Ad essere decisivo è però il fatto che questi bit abbiano conseguenze inequivocabilmente concrete e siano resi giuridicamente vincolanti dalla legge elettorale e dalla costituzione democratica, nella fattispecie l’assegnazione di mandati a persone già prescelte. Ciò differenzia la votazione da ogni altra forma di espressione di opinione. La quantità di informazione che ciascun singolo emette è molto esigua, già solo la pronuncia di una parola media della lingua tedesca contiene essenzialmente più bit. Ma l’effetto immediato è assicurato solo dalle elezioni. La procedura di un’elezione è un algoritmo chiaramente definito. Come campo informativo il tutto si potrebbe rappresentare come segue: su una mappa della Repubblica si disegna un punto colorato per ogni voto. A lavoro finito i colori sono mischiati in tal modo che è impossibile dedurne alcunché. La procedura dell’elezione consiste solo nel rappresentare l’allocazione dei seggi, ripartendo i colori corrispondenti in gruppi.

Perché simili o altri processi politici possano avere luogo, la politica deve avere uno spazio a disposizione che si propone come spazio di apparizione. Nei termini della teoria di Shannon, tale spazio deve essere un canale libero da interferenze. Così ad es. il rumore del traffico può disturbare un meeting all’aria aperta. Forse il rumore del traffico ostacola, quale fattore di disturbo, la creazione di una vicinanza nelle grandi città, mentre è in atto una comunicazione verbale. Abbiamo inoltre visto come da questa vicinanza nascano i consigli. E riecco i concetti di informazione sintattica, semantica e pragmatica; Weaver parla del livello A (Sintattica), B (Semantica) e C (Pragmatica) e fa un’annotazione in merito (Shannon/Weaver, pag. 14):

Una parte della significatività della nuova teoria viene dal fatto che ai livelli B e C l’utilizzo può essere fatto solo dal grado della precisione del segnale, nello stesso modo in cui è stato analizzato nel livello A. Così ogni limitazione scoperta nella teoria del livello A, agisce anche sugli altri settori.

Di conseguenza, quando il processo politico è definito dalla semantica e dalla pragmatica, queste edificano sulla sintattica, che è la conditio sine qua non della politica. Che questo aspetto non sia affatto sempre banale è stato dimostrato in occasione del dibattito in parlamento scoppiato il 24/11/92 a causa di errori commessi nell’impianto altoparlante (cfr. ad es. Westdeutsche Zeitung del 5/3/93). A questa occasione appartiene anche il fenomeno del disturbo recato dagli avversari politici alle riunioni attraverso, appunto, il rumore. Questo è, per Hannah Arendt, un comportamento antipolitico.

Un comportamento tipicamente politico è invece un discorso tenuto durante una riunione:

discorso

In questo spazio politico troviamo un oratore e 36 ascoltatori. I dibattiti che, come mostrato dallo schema, si svolgono attraverso discorsi frontali, sono scanditi da una tabella oraria, tempi fissati per oratori a rotazione, domande e commenti. Questi elementi dipendono dalla dimensione dello spazio di apparizione e dalla sua struttura. Il numero dei partecipanti è determinante per la struttura e la dimensione dello spazio e non viceversa. La polis, la comunità politica che giunge a delle ratificazioni, si modella il proprio spazio di comparsa. Nel caso del Parlamento si può trattare ad es. della forma e disposizione delle poltrone della sala plenaria, l’impianto altoparlante succitato e così via fino ai dettagli minimi come il pulpito idraulico, con cui l’oratore appare subito grande – un indizio dell’alta considerazione in cui è tenuta l’apparizione in Parlamento come in Hannah Arendt. Lo spazio di apparizione della politica viene formato dalla stessa polis, il numero dei partecipanti e le loro decisioni comuni ne definiscono la struttura. Se la struttura spaziale corrisponde perlopiù al grafico precedente in occasione di riunioni o manifestazioni, e la struttura temporale corrisponde ad una tabella oraria definita, i comitati tenderanno ad un’altra struttura. I comitati non sono organi minori, nei confronti dei parlamenti o delle assemblee, che spesso non stanno all’etimo latino: grembo, luogo di natività, l’intimo.

Il comitato è quindi quello spazio politico in cui pochi partecipanti appaiono uno davanti all’altro, protetti dalla pubblicità generale. Questo piccolo e protetto spazio politico offre l’opportunità di una maggiore libertà e spontaneità, cosa che per tabelle meno rigide e per un'altra organizzazione, svanisce:

circolo

In questa disposizione tutti possono parlare con tutti. Mentre in una situazione come quella precedente, un singolo dirige l’attenzione di più file di ascoltatori verso di sé, la presente disposizione circolare permette un costante ricambio di attenzione. Il comitato offre quindi più possibilità di spontaneità, originalità e azione del plenum.

Mi si potrebbe a questo punto accusare di banalità. Io ritengo invece che i due abbozzi presentati non siano affatto banali. Secondo me illustrano piuttosto lo spazio di apparizione politico, la sua struttura concreta e i processi comunicativi che si svolgono al suo interno , nel cuore della politica. I settori più vicini alla politica, come l’economia, la produzione, l’esercito, il diritto, l’etica, l’amministrazione e l’essenza sociale, esercitano una forte pressione sulla politica sia nella teoria che nella pratica. In quest’ultima, chi proviene da altri settori tenta di occupare la politica. Per fare ciò devono innanzitutto entrarvi come comuni cittadini, legittimi partecipanti a un processo politico. Ma siccome sono abituati ad altre azioni che non quella dialogica, essi tentano di applicare il proprio modello di azione nella sfera politica. In questo modo manager, giuristi, industriali, filosofi, lobbisti, militari e impiegati statali portano con sé nuovi principi nella politica, i quali deformano e mettono in pericolo la sua unicità. Oggi sembra che i lobbisti ci riescano meglio di tutti, come è dimostrato dall’equazione accettata di bene comune e benessere economico. Se ad occupare la politica sono i militari, avranno cura di introdurre i loro elementi di ordini, violenza e ubbidienza per stabilire una dittatura. Gli impiegati statali sono interessati a un corso senza attriti: non è la ratificazione e successiva approvazione democratica che interessa loro, bensì la sua funzione nell’apparato amministrativo. Filosofi e giuristi sono interessati alla giustizia, concreta, i giuristi, principiale, i filosofi. E sebbene la giustizia non sia, in quanto principio, non sia così estranea alla politica come le massime di azione dei suddetti gruppi di lavoratori, è comunque un elemento etra-politico e impolitico. Nella realtà il pericolo per la politica emerge dal tessuto di campi che le è proprio, in cui può facilmente accadere che si introducano principi apolitici, poiché i soggetti politici stessi contaminano con essi lo spazio di comparsa.

Nella teoria, invece, la politica è minacciata perché da una parte appare caotica e incomprensibile nella sua apparizione effettiva, un approssimazione senza speranza da cui i filosofi vogliono salvarsi, dall’altra parte i suoi principi presi alla lettera e abbozzati concretamente appaiono banali.

E’ mia intenzione derivare dalla filosofia di Hannah Arendt dei modelli concreti e applicabili, che prendano in considerazione la politica per quella che è, come fenomeno a se stante che occorre sparare dal suo sostrato attraverso altri fenomeni. Ho già presentato alcuni esempi di questi modelli precedentemente. L’obiettivo è di liberare la politica dai suoi vincoli perché la sua connessione con le altre sfere divenga riconoscibile. Ma anche la stessa politica non consiste certo in processi semplici come nei miei esempi. I processi politici possono essere più grandi e molto più complicati – senza che nulla cambi nella descrizione fondamentale -, e sono anche interconnessi in molti modi. La politica consiste nella miriade di assemblee, comitati, riunioni: consigli cittadini, regionali, parlamenti, congressi aziendali e così via, che sono sempre connessi tra loro.

Non considero i miei abbozzi teorie finite, ma come stimoli e punti di partenza. Soprattutto la descrizione del campo di informazione appartiene alla rappresentazione grafica di spazi di apparizione entro cui il campo si svolge in relazione alla pluralità e alla narratività del processo. Tre sono le domande empiriche generate in un processo politico:

  1. Come risulta essere la situazione iniziale con il numero dei partecipanti, le loro motivazioni e le loro opinioni?

  2. Cosa succede nel campo di comunicazione quando ci sono trattative in corso?

  3. Qual è il risultato del processo; che genere di informazione è stata prodotta, è stato raggiunto un accordo? E’ stato generato potere?

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aggiornato: 28.07.2006