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La filosofia politica di Hannah Arendt

1. Introduzione
2. Totalitarismo e Rivoluzione
2.1. Il totalitarismo
2.2 La rivoluzione
2.2.1 Rivoluzione e pensiero processuale
2.2.2 I Consigli
2.2.3 Riassunto
3. La Politica
4. La politica, la teoria di campo e la comunicazione
5. Riassunto
6. Bibliografia
 

2.2.2 I consigli

Hannah Arendt parla del sistema conciliare nella seconda parte del quarto capitolo di "sulla rivoluzione", pag. 327 e sgg. Dice in proposito(1):

Dal 1789 assemblee sono nate spontaneamente in ogni rivoluzione, senza che nessuno dei coinvolti sapesse mai che ciò si era già verificato in passato, senza che nessuno ci avesse effettivamente pensato

E (2):

Già l'assenza di continuità e tradizione, la mancanza di un influsso organizzato e organizzante sottolinea l'impressionante omogeneità del fenomeno stesso.

Quanto detto lo interpreto nel modo seguente:

La scienza si occupa di quantificare fenomeni uguali tra loro non spiegabili dal caso. A riprova di ciò cito l’invariabile caduta dei gravi per effetto della gravità o la natività delle piante. La ripetizione dell’omogeneità viene spiegata o da principi universali o, dove ciò non bastasse, dall’apporto di informazioni. La gravità è responsabile della caduta dei gravi; l’omogeneità di vari esemplari di piante della stessa specie viene spiegata con l’apporto di informazioni quali i geni. Il movimento di un sasso non dipende dal fatto che altre pietre siano cadute in maniera analoga, mentre la crescita di una pianta dipende dalla constatazione che altre piante della stessa specie siano potute crescere. Di norma una pianta esiste quando questo è il caso. La pianta può crescere solo quando ha ereditato informazioni genetiche da una pianta della stessa specie che rappresenta il modello del processo di sviluppo. Un sasso in caduta non ha ereditato informazioni da un altro sasso. Può aver ricevuto un impulso, una spinta, ma ciò che ne consegue segue le leggi della fisica che sono, come detto, universali.

Riapplicando quanto detto dalla Arendt:

I consigli non si formano, secondo Hannah Arendt, per motivi di tradizione, quindi senza l’apporto di informazioni. Per cui l’omogeneità dei fenomeni dev’essere spiegata con un principio universale: sembra essere implicito nell’essenza dell’azione(3). Come i sassi cadono indipendentemente uno dall’altro secondo la legge gravitazionale, così gli uomini seguono altrettanto indipendentemente il principio dell’azione politico e formano consigli.

Nella forma in cui l’ho presentata, si può confondere questa tesi con il pensiero processuale trattato poc’anzi, che voglia traslare la necessità dei processi naturali sulla politica. La tesi si differenzia tuttavia per un punto essenziale del pensiero processuale: mentre la necessità storica del pensiero processuale sopprime il libero agire della moltitudine, qui si propone una supposizione motivata su cosa accadrebbe se la libera azione fosse permessa da subito. Non è illogico pensare di poter trasformare la tesi in un’ideologia se si pone come tappa la natività dei consigli. Cosa di per sé impossibile dato che i consigli nascono solo spontaneamente.

La tesi secondo cui i consigli rappresenterebbero l’essenza dell’azione fa sorgere nuove questioni: se i consigli nascono dal principio dell’azione cioè la politica, perché si presentano solo nelle rivoluzioni? O forse sotto altre condizioni sociali nascono organi che dovrebbero essere riconosciuti quali consigli? Chiariamo bene il concetto di ‘consiglio’.

I consigli si formano spontaneamente (4). In essi ci si riunisce a discutere delle questioni politiche attuali e giungere a una decisione (5). I consigli sono indipendenti dai partiti, lo scontro di fazioni non ha luogo (6). Si organizzano spontaneamente e indipendentemente l’uno dall’altro per tutto il Paese e nei

modi più disparati: Consigli di quartiere, consigli rivoluzionari nati dalle lotte di strada, consigli di artisti e scrittori nati nei caffè di Budapest, consigli studenteschi e giovanili nelle università e nelle scuole, consigli dei lavoratori nelle fabbriche, consigli nell’Arma e nell’azienda, insomma, dovunque gli uomini possono essere in contatto fra loro.

Questi organi di azione e ordine formati spontaneamente dal popolo(8) nacquero dal desiderio di agire e dall’opinione che i consigli fossero il sistema più adatto a disposizione (9)

Cosa resta? Spinti dalla necessita dell’azione politico gli uomini si riuniscono dappertutto per informarsi, confrontarsi e farsi un’opinione. Se tutto rimanesse così la cosa finirebbe lì, ma continua (10):

Ciò che probabilmente stupisce di più di questi sviluppi spontanei è che a questi organi assolutamente disomogenei e indipendenti bastarono poche settimane in Russia, e pochi giorni in Ungheria, per collegarsi e coordinare le proprie azioni, fondersi in organi superiori e giungere all’estensione del sistema dei soviet a livello provinciale e regionale dal quale i ministri potessero essere eletti in un’assemblea nazionale.

Si formano organi superiori mentre nuovi consigli prendono contatto tra loro e formano un comitato in cui ogni consiglio invia uno o più delegati. I consigli di questa specie funzionano proprio così e generano a loro volta un’altra sorta di consigli, fino ad arrivare ad un consiglio supremo che prende le decisioni per tutto il Paese. Anche il sistema conciliare è dunque un sistema rappresentativo. Solo ai livelli più bassi ognuno parla per sé, nei consigli più alti si parla per il consiglio da cui si è stati delegati. La differenza fondamentale tra il sistema conciliare e quello parlamentare come lo conosciamo sta nel modo in cui la rappresentazione viene realizzata: I delegati (14)

Sono eletti liberamente da loro stessi, e siccome gli elettori vengono messi nell’assemblea dai primi e tenuti a render conto, tutti rimangono legati tra di loro e autonomamente e collettivamente responsabili

Il delegato è quindi eletto dai suoi colleghi e tenuto a riferire loro. Quest’ultima condizione non deve essere confusa con un mandato obbligatorio. Poiché vale anche per il consiglio superiore (12):

Ai fini di una formazione d’opinione ragionevole è necessario uno scambio, per farsi un’opinione bisogna essere presenti…

L’eletto non è tenuto quindi a seguire esattamente la linea impostagli dai suoi elettori, cosa che non funzionerebbe poiché già un livello più in alto ci si riunisce e l’azione diventa imprevedibile. A prescindere, però, un consiglio può sempre rimuovere il suo rappresentante dall’incarico quando questo abbia svolto il suo compito in maniera insoddisfacente, ed eleggerne un altro.

Un’altra importante differenza rispetto al sistema parlamentare è che i ministri si muovono sempre tra di loro: eletto dai colleghi, il ministro si ritrova, nel consiglio superiore, a trattare ancora con i colleghi. Ecco dimostrato come il principio di uguaglianza sia più chiaro ed evidente che nelle democrazie parlamentari. In queste c’è un’organizzazione che somiglia nettamente a quella conciliare: un’assemblea dei membri in cui un membro viene candidato da altri membri del suo partito. Tuttavia, mentre il candidato ha una chance di venire eletto in Parlamento, gli altri non verranno eletti di sicuro. Nello stesso Parlamento stesso regna sì l’uguaglianza, ma tra la nomina del candidato e l’assemblea costituente parlamentare c’è un gap di uguaglianza, cosa che non accade nel sistema conciliare. Ciò non vuol dire, ovviamente, che il sistema conciliare sia perfetto e immune da problemi. Il contrario, semmai. La trattazione della Arendt è molto manchevole, storicamente i consigli hanno sempre avuto vita breve e poi entrano in gioco diversi problemi di dettaglio. Ne vorrei menzionare giusto uno.

Il problema è questo:

consiglio - livello 3
consiglio
|
freccia
consiglio - livello 2
|
consiglio base 1 - livello 1
 
consiglio base 2 - livello 1
 
consiglio base 3 - livello 1
 

Il grafico mostra solo una parte del sistema preso in considerazione. In ogni livello ci sono più consigli. Il consiglio base (C.B.) 1 nomina un rappresentante del livello (L) 2, a sua volta eletto nel L. 3 dal 2° L. L’individuo in questione è rappresentato dalla faccina triste. Il C.B. 1 rimuove il suo rappresentante dal 2° L. ma i colleghi di quest’ultimo lo vogliono nominare per il 3° L. Da ciò si evince chiaramente la possibilità di delegittimizzare il candidato e quindi rimuoverlo. Inoltre quanto descritto è un po’ il sassolino nell’ingranaggio della decisione comune. Inoltre il candidato nel 3° L. non rappresenta più solo i membri del proprio C.B. ma rappresenta, tramite il 2° L. che hanno eletto i delegati del consiglio di questo livello. I I diritti di queste persone e quelli dei loro elettori originali del primo C.B. devono essere soppesati. Probabilmente si possono derivare tanti altri problemi; tuttavia la Arendt non se ne occupa.

In conclusione di questa sezione vorrei considerare nuovamente la questione della legittimazione nel livello del C.B. Nel sistema parlamentare ci sono le liste in cui l’esecutivo definisce la legittimazione all’espressione di voti. La constatazione della legittimazione del singolo da parte degli organi esecutivi è naturalmente esclusa nel sistema conciliare. I C.B. si formano spontaneamente, chiunque ne faccia parte può contribuire al brainstorming e alle decisioni. Un controllo preciso è dato dal fatto che i consigli nascono quali strutture sociali prepolitiche, il contatto c’è già stato, ci si conosce tra membri. Discorso a parte per chi è motivato a partecipare ad un’assemblea solo dal suo palese impegno e apporta tutto il suo tempo, energia e, semplicemente, la ‘carne da seggio’.


Note:

  1. Sulla rivoluzione, pag. 336

  2. Ibidem, pag. 338

  3. Sulla violenza, pag. 132

  4. Sulla rivoluzione, pag. 331, pag. 338, pag. 349

  5. Ibidem, pgg. 307, 311

  6. Ibidem, pag. 339

  7. Ibidem, pag. 343, cfr. Anche pag. 309

  8. Ibidem, pag. 351

  9. Ibidem, pag. 344

  10. Ibidem, pag. 357

  11. Ibidem, pag. 303

  12. Cfr. sulla rivoluzione, pag. 359 e seg.

I rinvii sono riferiti alle edizioni tedesche.
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aggiornato: 29.06.2006